Studio di Psicologia e Psicoterapia
Dott.ssa Maria Giuseppina Biddau
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2 Lug 2015

Il mattone boomerang

C’era una volta un uomo che andava in giro con un mattone in mano.mattone
Aveva deciso che ogni volta che qualcuno lo avesse fatto arrabbiare gli avrebbe lanciato addosso il mattone.
Era un metodo un po’ rozzo, però sembrava efficace, no?
Un giorno s’imbatté in un amico prepotente che gli si rivolse in malo modo.
Fedele alla propria decisione, l’uomo afferrò il mattone e glielo lanciò addosso.
Non ricordo se l’avesse colpito. Ma sta di fatto chi il successivo recupero del mattone gli parve disagevole.
Decise allora di migliorare il “Sistema di Autorecupero del Mattone” come lo chiamava lui.
Legò un cordino lungo un metro attorno al mattone e uscì di casa.
Il mattone non avrebbe potuto andare troppo lontano, ma anche il nuovo metodo aveva alcuni inconvenienti: in effetti il destinatario delle ostilità doveva trovarsi a meno di un metro di distanza e poi dopo averlo scagliato il mattone, l’uomo doveva prendersi la briga di raccogliere il cordino, che tra l’altro sovente si aggrovigliava e si impigliava, con conseguente disagio.
Allora l’uomo inventò il ” Sistema Mattone III”.
mollaProtagonista era sempre il solito mattone ma il nuovo sistema prevedeva una molla al posto del cordino.
Ora il mattone poteva essere scagliato più volte e sarebbe sempre tornato indietro da solo pensò l’uomo.
Uscì di casa e, nel momento in cui fu vittima della prima aggressione, lanciò il mattone.
Ma non colpì l’obiettivo perché, quando la molla entrò in azione, il mattone schizzò all’indietro andando a finire proprio sulla testa dell’uomo che lo aveva lanciato.
Ci provò un altra volta, e si prese una seconda mattonata perché aveva calcolato male le distanze.
La terza mattonata se la prese perché aveva calcolato male i tempi.
La quarta fu particolare perché, dopo aver deciso di lanciare il mattone contro la vittima, aveva cercato di proteggerla con il risultato di prendersi di nuovo il mattone in testa.pipì sul muro
Si fece un bernoccolo enorme…
Nessuno seppe perché non riuscisse mai a dare una mattonata a qualcuno: se per via dei colpi ricevuti o per qualche deformazione del suo animo.
Tutti i colpi si ritorcevano sempre contro di lui.

Questo meccanismo si chiama retroflessione: consiste nel proteggere gli altri dalla nostra aggressività, malumore, rabbia che si rivoltano contro noi stessi mediante gesti concreti di auto – aggressione come autolesionarsi, ingozzarsi di cibo, assumere droghe, correre rischi inutili; altre volte mediante emozioni o sentimenti camuffati come depressione, senso di colpa, somatizzazione. Costruiamo una barriera per proteggere l’altro dalla nostra aggressività. Questa barriera si comporta come una molla. La rabbia emozione priva di valenza positiva o negativa si è attivata e da qualche parte deve sfociare e si rivolta contro noi stessi, attraverso i meccanismi sopra descritti.

L’ideale sarebbe un utopistico essere illuminato che non si arrabbia mai, lucido e solido.

illuminatoProbabile? Forse…Boh…Non saprei.

Comunque una volta che abbiamo sperimentato la rabbia, l’ira o il fastidio. Azione!

Altrimenti presto o tardi l’unico risultato che otterremo sarà di arrabbiarci con noi stessi.boumerang

 

Bibliografia

Jorge Bucay – Lascia che ti racconti: Storie per imparare a vivere 

By: Maria Giuseppina Biddau Category: Blog Tags: Dott.ssa Maria Giuseppina Biddau psicologo, ira, Maria Giuseppina Biddau, Maria Giuseppina Biddau psicologo Cagliari, Maria Giuseppina Biddau psicologo Sassari, psicologo Cagliari, psicologo Elmas, psicologo Sassari, psicoterapeuta Cagliari, psicoterapeuta Elmas, psicoterapeuta Sassari, rabbia

16 Giu 2015

La vendetta è tagliarsi le palle per fare un dispetto alla moglie

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Secondo Etienne Mullet è meglio il perdono. La strada del perdono è più difficile e tortuosa della vendetta. Ma la vendetta mette a dura prova organismo e cervello, soprattutto se questo risentimento perdura nel tempo.

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Ansia, depressione e attesa

Il sentimento della vendetta è naturale. Subito dopo un’offesa, a volte, è normale stare male. Meno sano è covare rabbia, risentimento, sentimenti di vendetta per 20 anni. Il sentimento di vendetta che perdura nel tempo rischia di minare la salute psicofisica dell’individuo, fino a causare ansia e depressione.
Etienne Mullet sostiene che i benefici della vendetta sono scarsi se confrontati con i danni psicologici che possono causare “Allontana le persone care, perchè chi vuole vendicarsi appare inquietante, nel caso peggiore la vendetta attuata può persino condurre in prigione”

– Mente & cervello – I vantaggi della vendetta di Etienne Mullet

By: Maria Giuseppina Biddau Category: Blog Tags: depressione, Dott.ssa Maria Giuseppina Biddau psicologo, lasciar andare, Maria Giuseppina Biddau, Maria Giuseppina Biddau psicologo Cagliari, Maria Giuseppina Biddau psicologo Sassari, perdono, psicologo, psicologo Cagliari, psicologo Sassari, psicosomatica, psicoterapia, psicoterapia Cagliari, psicoterapia Sassari, rancore, stress, vendetta

28 Mag 2015

Sai dire di no? Proprio a tutti?

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La capacità di dire no è affermare se stessi, essere autentici, senza offendere l’altro.

 

Per molte persone, è un comportamento difficile da mettere in atto. Sono convinte che per essere accettate e ottenere affetto devono essere, sempre accondiscendenti gentili e soprattutto non devono dire no, devono essere sempre garbati, di buon umore, pronti a consolare, anteponendo i bisogni degli altri ai propri, evitando coscienziosamente il conflitto.

 

Dicono si quando in realtà vorrebbero dire no. Non esprimono se stessi in modo adeguato. Hanno una mancanza di assertività. Sono compulsivi nella loro ricerca di compiacere. Li accompagna, fedele, la maledizione dell’altruista. Spesso si sentono  in trappola, soffocati dalle loro stesse aspettative  e da quelle degli altri.

 

Chi è colpito dalla maledizione dell’altruista crede che mostrando i propri bisogni, le proprie esigenze verrà respinto e abbandonato. L’altruista compulsivo reprime le proprie emozioni. Rabbia e risentimento covano in silenzio, fino a che esplodono per un’inezia lasciando tutti basiti, passando dalla ragione al torto.rabbia esplosiva

 

 

Dopo qualche tempo dallo scatto di rabbia l’altruista si sente in torto, assalito dai sensi di colpa “Forse ho esagerato, avrei dovuto…e poi…si, …ma”. Ecco che entra in un circolo vizioso di rinforzo. Non accetta le proprie reazioni e si convince che sia necessario dire sì…sempre. Da notare…l’altruista compulsivo evita i conflitti di qualsiasi genere. Ma rincorre l’altro per avere conferme circa il proprio valore.

 

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Questo spazietto è dedicato a te che ti sei identificato nella descrizione.

 

Ti propongo un esercizio che do spesso in terapia. Sembra un gioco e invece è uno strumento semplice che ti restituisce un’immagine immediata del tuo modo di comportarti e di che cosa provi. E’ una rappresentazione visiva del tuo essere altruista compulsivo.

Clicca sulla parola Angioletto, scarica l’immagine, stampala, oppure disegnala in un foglio abbastanza grande. angiolettoNelle linee che si irradiano dalla figura descrivi ciò che ti sembra di mostrare agli altri o come vorresti che gli altri ti percepiscano: sono sempre sorridente, ascolto tutti, sono disponibile, non dico mai no, faccio ridere tutti, prima ci sono le esigenze dei miei figli, del mio partner, dei colleghi, prima c’è il mio lavoro, non nego mai niente a mia madre, ecc…sono comportamenti positivi, che, però, vi costano fatica, impegno, energie.

Dentro l’immagine, sul vestito e sulle maniche scrivi ciò che ribolle, le emozioni represse legate al dire si, quelle che nascondi, spesso anche a te stesso, quelle che vengono definite “negative”: tristezza, rabbia, rancore, senso di abbandono, angoscia della scelta.

Ora guarda il disegno. Qual è il prezzo che paghi dicendo sempre si?

E’ un giochino che puoi fare in generale, oppure soffermati un attimo e pensa in quali contesti e con quali persone non sei assertivo e cadi nella maledizione dell’altruista

Sappi che i comportamenti possono essere cambiati. Passo dopo passo. Iniziate a dire no, una volta alla settimana. Può essere un no a tuo figlio che vuole andare a dormire tardi. Può essere un no alla tua collega che ti chiede aiuto e tu rimani indietro col tuo lavoro. No ad una amica, no al tuo compagno.

Ultimo accorgimento importantissimo. Il NO, deve essere chiaro, diretto, semplice, secco, equilibrato, educato e deciso. Motivalo, ma non troppo.

E’ impossibile accontentare tutti, sempre.  Liberati da questa maledizione.rassegnazione

 

Bibliografia

Jacqui Marson – Come imparare a dire di no senza sensi di colpa – eNewton Manuali e Guide

By: Maria Giuseppina Biddau Category: Blog Tags: assertività, conflitti, dire no, Dott.ssa Maria Giuseppina Biddau psicologo, essere se stessi, imparare a dire no, malumore, Maria Giuseppina Biddau, Maria Giuseppina Biddau psicologo Cagliari, Maria Giuseppina Biddau psicologo Sassari, psicologo Cagliari, psicologo Sassari, rabbia, rancore, saper comunicare, saper dire no, senso di colpa, stare bene, tristezza

29 Apr 2015

Rancore come fare?

crisi di rabbia
crisi di rabbia

 

Aggrapparsi alla rabbia è come afferrare un carbone ardente
con l’intento di gettarlo a qualcun altro;
sei sempre e solo tu quello che rimane bruciato

Buddha

 

Rancore proviene dal verbo rancere essere rancido riferito al cibo guasto con odore e sapore disgustoso. Il rancore è un sentimento di ostilità, odio che si ha in seguito ad un’offesa ricevuta. La sua peculiarità è di permanere nel tempo creando pensieri ossessivi e ruminazioni che sfociano a volte in sentimenti di vendetta.

Quell’odio, quel rancore, quei pensieri, fanno stare male solo te. Che aspetti? Inizia a vivere.

In che modo?

indifferenza
indifferenza

Primo passo essenziale per qualsiasi cambiamento. Sposta il luogo di controllo da fuori a dentro.

E che significa?

Locus of control esterno
“Se sto così male. La colpa è la sua. E’ lui/lei che mi ha fatto questo. E’ colpa sua se mi sono comportato così…E’ colpa sua se ho fatto questa scelta”

Locus of control interno

“Come posso fare per migliorare la mia situazione? Faccio del mio meglio per ottenere quel risultato. Mi applico di più…” Non darsi per vinti e cercare sempre nuove soluzioni. Credere in se stessi e impegnarsi per ottenere risultati, perseverando senza temere fatica e senza arrendersi.

responsabilità
responsabilità

La tua azione influenza il risultato finale
Valuta la tua responsabilità nei tuoi fallimenti

Sposta il “luogo di controllo” verso l’interno. Focalizza la tua attenzione su ciò che provi tu, ciò che senti tu, ciò che fai tu o che cosa puoi fare per cambiare la situazione. So che è difficile perchè appena ci provi inizi a pensare “Si, ma lui/lei…” Focalizza la tua attenzione su di te.
Punto focale è il lavoro su se stessi.

Tu sei responsabile di te stesso.

mondo-in-mano

 

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9 Apr 2015

Come ho salvato il mio matrimonio

vecchietti

(Dedicato al mio amore)

Di recente Jenna, mia figlia maggiore, mi ha detto: “Da piccola temevo che tu e la mamma avreste potuto divorziare. Poi, quando avevo dodici anni, mi sono resa conto che litigavate così tanto che forse un divorzio sarebbe stata la scelta migliore” Poi ha aggiunto, sorridendomi: “Sono felice che abbiate risolto tutto”

Per anni, io e mia moglie Keri abbiamo lottato. Guardando indietro, non so neanche stabilire con precisione cosa ci abbia fatti avvicinare, ma le nostre personalità non erano proprio compatibili. Più andava avanti il matrimonio, più venivano a galla le differenze. La “fama e la fortuna” non hanno reso più semplici le cose, anzi, hanno aggravato i nostri problemi. La tensione era tale che viaggiare per promuovere un libro era diventato un vero sollievo, anche se scontavo tutto al ritorno. I nostri litigi erano all’ordine del giorno, era difficile anche solo immaginare una relazione pacifica. Eravamo sempre sulla difensiva, chiusi nelle nostre fortezze emotive. Il divorzio era dietro l’angolo, ne avevamo discusso più di una volta.

I nodi vennero al pettine durante un book tour. Avevamo appena litigato al telefono e Keri aveva riattaccato, bruscamente. Ero solo e mi sentivo arrabbiato e frustrato. Avevo raggiunto il mio limite.

Allora mi rivolsi a Dio, o meglio me la presi con Lui! Non so se urlare a Dio possa considerarsi una preghiera o meno ma, qualsiasi cosa fosse, non lo dimenticherò mai. Ero nella doccia dell’hotel Ritz-Carlton di Atlanta e gridavo a Dio che il matrimonio era uno sbaglio, che non ce la facevo più. Anche se odiavo il pensiero del divorzio, il dolore e la fatica di restare insieme erano troppi. Ero anche molto confuso. Non riuscivo a capire perché il matrimonio con Keri fosse così difficile. Dentro di me sapevo che era una brava persona e che io lo ero a mia volta. Allora perché non riuscivamo ad andare d’accordo? Perché avevo sposato una persona così diversa me? Perché lei non cambiava?

Alla fine, a pezzi, scoppiai a piangere. Anche in quel buio riuscii a vedere una luce. Non puoi cambiarla, Rick, puoi solo cambiare te stesso. In quel momento iniziai a pregare. “Dio, se lei non può cambiare, allora cambia me”. Pregai fino a tarda notte e il giorno dopo mentre tornavo a casa. Pregai mentre varcavo la soglia, tornando da una moglie fredda che a stento si era accorta del mio rientro. Quella notte a letto, mentre eravamo a pochi centimetri di distanza eppure lontanissimi, arrivò l’ispirazione. Sapevo cosa fare.

Il giorno dopo mi avvicinai e le chiesi: “Come posso rendere migliore la tua giornata?”

Keri mi guardò arrabbiata: “Cosa?”

“Come posso rendere migliore la tua giornata?”

“Non puoi, perché lo chiedi?” disse.

“Perché dico sul serio, voglio sapere cosa posso fare per migliorare la tua giornata”

Il suo sguardo si fece cinico.

“Vuoi fare qualcosa? Pulisci la cucina”.

Si aspettava che mi arrabbiassi. Invece acconsentii: “Ok”.

Mi alzai e mi andai in cucina.

Il giorno dopo, la stessa domanda: “Cosa posso fare oggi?”

Con gli occhi socchiusi, mi disse “C’è da pulire il garage”.

Feci un respiro profondo. Avevo già avuto una giornata pesante e sapevo che la sua richiesta era provocatoria. Stavo quasi per perdere le staffe.

Invece le dissi ok e per le due ore seguenti mi dedicai al garage. Keri non sapeva cosa pensare.

“Cosa posso fare per te oggi?

“Niente”, urlò, “Non puoi fare niente. Smettila di chiederlo”

Io dissi: “Mi dispiace, non posso”

“Ho preso un impegno con me stesso. Cosa posso fare per te oggi?”

“Perché lo fai?”

“Perché tengo a te e al nostro matrimonio”.

Così ho ripetuto la mia domanda il mattino dopo, e quello successivo. E quello dopo ancora. Poi, alla seconda settimana, il miracolo. Alla mia domanda gli occhi di Keri si riempirono di lacrime e scoppiò a piangere. Quando riuscì a parlare disse: “Ti prego smettila di chiedermelo. Non sei tu il problema, sono io. Vivere con me è difficile, non so perché resti insieme a me”.

Le sollevai dolcemente il mento per guardarla negli occhi e dissi: “Perché ti amo. Cosa posso fare per rendere migliore la tua giornata?”

“Dovrei chiedertelo io”.

“Dovresti”, risposi, “Ma non adesso, adesso ho bisogno di essere io a cambiare. E tu devi sapere quanto conti per me”.

Poggiò la testa sul mio petto.

“Mi dispiace di essere stato così meschino. Ti amo”.

“Ti amo anch’io” rispose.

“Allora, cosa posso fare per te oggi?”

Mi guardò dolcemente e disse: “Possiamo solo passare un po’ di tempo insieme?”

Sorrisi: “Mi piacerebbe molto”.

Sono andato avanti con la mia domanda per più di un mese. E le cose sono cambiate, i litigi sono finiti. Poi è stata lei a chiedermi: “Di cosa hai bisogno? Come posso essere una moglie migliore?”

I muri che avevamo costruito erano caduti. Parlavamo dei nostri sogni di come poterci rendere felici. Non abbiamo risolto tutti i nostri problemi e non posso assicurare che non litigheremo mai più. Ma era la natura dei nostri scontri ad essere cambiata. Si erano fatti più rari e non erano più cosi violenti come un tempo, non li alimentavamo più. Non avevamo più voglia di ferirci a vicenda.

Io e Keri siamo sposati da più di 30 anni. Non solo amo mia moglie, mi piace anche. Mi piace stare con lei. La desidero, ho bisogno di lei. Molte differenze sono diventate dei punti di forza ed altre non sono poi così importanti. Abbiamo imparato a prenderci cura l’uno dell’altra e, soprattutto, vogliamo farlo. Il matrimonio è difficile, ma lo è anche essere genitore, mantenersi in forma, scrivere libri e qualsiasi altra cosa sia importante nella mia vita. Avere un compagno per sempre è un dono eccezionale. Ho imparato che il matrimonio può aiutarci a smussare anche i nostri lati più odiosi. Li abbiamo tutti.

Con il tempo ho capito che la nostra esperienza era solo un esempio di una lezione più ampia sul matrimonio. La domanda che chiunque abbia una relazione dovrebbe chiedere al partner è: “Cosa posso fare per rendere migliore la tua vita?” Questo è amore. I romanzi d’amore (ne ho scritti un po’) ruotano intorno al desiderio e al “vissero felici e contenti”, ma ad un simile epilogo non si arriva col desiderio, almeno non con quello descritto in queste storie. Il vero amore non consiste nel desiderare una persona, ma nel desiderare la sua felicità, anche a spese della propria. Il vero amore non è fare dell’altro una copia di sé stessi, ma alzare i nostri livelli di tolleranza e attenzioni per l’altro. Tutto il resto è solo una farsa di interessi egoistici.

Non sto dicendo che quello che è successo a me e Keri valga per tutti. Non voglio neanche suggerire che tutti i matrimoni debbano essere salvati. Ma, per quanto mi riguarda, sono immensamente grato dell’illuminazione che ho avuto quel giorno, tanto tempo fa. Sono grato che la mia famiglia sia ancora unita e che mia moglie, la mia migliore amica, sia ancora accanto a me quando mi sveglio la mattina. Sono grato che anche oggi, dopo anni, uno di noi due si avvicini all’altro per chiedere “Cosa posso fare per rendere migliore la tua giornata?”. Essere la persona a cui è indirizzata questa domanda è un buon motivo per aprire gli occhi.

Questo post è apparso per la prima volta sul sito di Richard Paul Evans ed è stato ripreso da The Huffington Post Usa. La traduzione è di Milena Sanfilippo.

Da Huffington Post Italia

By: Maria Giuseppina Biddau Category: Blog Tags: amore, coppia, crescita personale, crisi di coppia, innamoramento, matrimonio, psicologo Cagliari, psicologo Sassari

8 Apr 2015

L’innamoramento è una cosa e l’amore è un’altra

amare (1)Scusate, sapete l’amore cos’è?

L’amore è una cosa\ che odora di rosa\ ma rosa non è.\ Indov­ina cos’è.
È rosa? E scusate, sapete per­chè?
È rosa il col­ore \ che serve per l’amore; \ l’amore non c’è\ se rosa non è.
L’odore che c’entra se rosa non è?
Per­chè a Mag­gio \ si prende cor­ag­gio, sen­tendo l’odore \ ti nasce l’amore.\
A Mag­gio soltanto? E sapete per­chè?
È Mag­gio per un anno \ per quelli che lo sanno \ per chi non vuol bene \ questo mese non viene.
E senza l’odore l’amore non c’è?
Non c’è per­chè l’amore \ è forte dolore \ che sem­bra una cosa \ che odora di rosa

Eduardo De Filippo 

Che cosa è l’amore, come si manifesta. Come si fa a capire se si ama una persona. Molto spesso si confonde l’innamoramento con l’amore. L’innamoramento è una tranvata. Ti arriva senza fare assolutamente niente. E’ la sensazione più bella del mondo. Tutto sembra diverso. Le giornate sono tutte piacevoli. E’ bellezza allo stato puro.

E l’amore? Per amare una persona bisogna metterci volontà. Per me la frase più adeguata è ti voglio bene. Perchè implica metterci la volontà.

L’amore è una pazzia temporanea, erutta come un vulcano e poi si placa, e quando accade bisogna prendere una decisione. Devi capire se le vostre radici si sono intrecciate al punto da rendere inconcepibile una separazione. Perchè questo è l’amore. Non è l’ardore, l’eccitazione, le imperiture promesse d’eterna passione, il desiderio di accoppiarsi in ogni minuto del giorno. Non è restare sveglia la notte a immaginare che lui baci ogni angolo del tuo corpo. No, non arrossire, ti sto dicendo qualche verità. Questo è semplicemente essere “innamorati”. Una cosa che sa fare qualunque sciocco. L’amore è ciò che resta quando l’innamorato si è bruciato; ed è sia un arte sia un caso fortunato. Ci sono radici che si protendono sottoterra l’una verso l’altra e quando i bei fiori cadono si scopre che si è un albero solo, non due. Ma a volte i petali cadono senza che le radici si siano intrecciate.

dal film “Il mandolino del capitano Corelli” di John Madden

L‘amore è ciò che rimane dopo che sono andate via le farfalle dallo stomaco

 

By: Maria Giuseppina Biddau Category: Blog Tags: amore, coppia, crisi di coppia, innamoramento, innamorarsi, innamorati, psicologo Cagliari, psicologo Sassari, voler bene

20 Mar 2015

Amati,

10881511_877759272258774_1667800423364269545_ncambia, fai qualcosa per migliorare te stessa e la tua vita. Evita di ciondolare davanti a social network come questo o whatsapp nella speranza che lui o lei ti inviino un messaggio o mettano un mi piace ad un tuo post. Non elemosinare attenzioni dall’altro. Rivolgiti attenzioni e affetto. Mettiti un paio di scarpe comode ed esci a fare una passeggiata. Fai una torta. Cerca una palestra dove facciano un corso che ti possa piacere. Inizia con pilates, zumba, pesi, aquagym, non ha importanza. Il prossimo anno ti potrai iscrivere ad un laboratorio teatrale o ad un corso di inglese. Fai qualcosa per te Maria Giuseppina Biddau

By: Maria Giuseppina Biddau Category: Blog Tags: amare, ansia, autostima, crescita personale, dipendenza affettiva, innamorata, mal d'amore, narciso, psicologo Cagliari, soffrire per amore

8 Mar 2015

Solo una persona sa…

 

© Michael Jastremski for openphoto.net
© Michael Jastremski for openphoto.net

Puoi contare incondizionatamente, solo su una persona al mondo. Quella persona, riconosce i tuoi bisogni, può realizzare i tuoi desideri, le tue aspirazioni. Solo tu sai cosa sia giusto per te in quel momento.
Gli altri possono camminare al tuo fianco. Nessuno si può sostituire a te nelle scelte e comunque non dovresti permetterlo

Maria Giuseppina Biddau

By: Maria Giuseppina Biddau Category: Blog Tags: amor proprio, amore per sè, autoefficacia, autostima, cambiamento, crescita personale

8 Mar 2015

Vi spiego gli attacchi di panico

Edvard MunchNegli ultimi anni ho iniziato a soffrire di attacchi di panico ed ho capito che spiegare come ci si sente a chi non lo ha mai provato è molto più difficile di quanto sembri. Molte persone non sanno neanche di cosa sto parlando, a meno che non lo abbiano provato sulla propria pelle.

È dura spiegare che ti senti come se stessi per morire (o come se dovessi restare in quella condizione di panico per sempre) senza sembrare pazzo, anzi cercando di dare un senso all’episodio di cui parli. Durante un attacco di panico è difficile riconoscere ciò di cui hai bisogno; a volte, non riesci neanche ad accettare che stia capitando proprio a te. Vorrei aiutare gli altri a capire cosa succede quando arriva un attacco di panico (anche se cambia da persona a persona). Ecco la spiegazione migliore che sono riuscita a trovare:

È come essere inghiottito da tutto ciò che ti circonda.

È come se, a poco a poco, ogni stimolo esterno prendesse il sopravvento sulla tua mente e sul tuo corpo. Un suono, una sensazione, un’immagine diventano così travolgenti che un singolo stimolo esterno diventa la tua sola realtà. Quest’unico elemento si trasforma nel solo pensiero che hai in testa e attraversa tutte le tue sensazioni fisiche ed emotive.

La musica ti penetra nelle orecchie e resta lì “bloccata” nel tuo cervello, preme contro la fronte e contro il tuo corpo, che sembra apparentemente “svuotato” e appesantito allo stesso tempo. Le voci e le conversazioni invadono i tuoi pensieri e riecheggiano nella testa.

Gli spazi si fanno così piccoli che ti senti immobilizzato Ogni posto diventa quello sbagliato in cui trovarsi, mentre si fa più forte il bisogno di scappare, senza sapere dove.

Riesci perfino a “vederti” dall’esterno, mentre sei in trappola, come se non fossi tu.

Il tremore si diffonde dalle mani ai piedi, finché le tue gambe sono così instabili che a malapena riescono a sorreggerti. Il cuore batte all’impazzata e lo stomaco si chiude fino al punto che non sai se vomitare o esplodere. La tua visuale limitata si annebbia sempre di più e non riesci più a mettere a fuoco o a vedere. La testa è leggera come se stesse per volare via o per staccarsi e cadere. I tuoi polmoni sembrano rimpicciolirsi e trattengono a stento l’ossigeno necessario a restare cosciente.

La paura di restare in questa condizione per sempre travolge tutti gli altri pensieri razionali. Non capisci cosa ti stia accadendo, ma sei sicuro che non ci siano possibilità che finisca.

Sei convinto che quell’assurdo panico non lascerà mai più la tua testa e il tuo corpo.

Questa è la migliore spiegazione che riesco a fornire. Ma a volte è difficile capire che, durante un attacco di panico, un soggetto potrebbe semplicemente sentire l’urgenza di fuggire o il bisogno di stare da solo mentre altri potrebbero peggiorare se lasciati soli e hanno bisogno che qualcuno resti accanto a loro. Gli attacchi di panico possono essere anche innescati da circostanze specifiche e possono accadere all’improvviso, senza alcuna ragione apparente. Cambiano da persona a persona e ogni attacco è diverso dall’altro.

Per leggere l’articolo originale vai su The Huffington Post Usa. Se vuoi vedere il post tradotto dall’inglese da Milena Sanfilippo, 

clicca qui

By: Maria Giuseppina Biddau Category: Blog Tags: ansia, attacchi di panico, mancanza d'aria, paura, paura di morire, paura di perdere il controllo, sensazione soffocamento, tachicardia

7 Mar 2015

Le persone affamate

 

affamata

 

“Le persone affamate fanno pessimi acquisti”. Disperatamente affamata d’amore e di approvazione mentre il ripudio le era familiare ma non era mai riuscita ad identificarlo come tale, Jill era destinata a trovare Paul.

Robin Norwood

By: Maria Giuseppina Biddau Category: Blog
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